Lotta alla peggiocrazia


Da La Stampa del 30/10/2012 di Mario Deaglio recensione al nuovo libro di Zingales
C’è un genere letterario quasi sconosciuto in Italia, poco diffuso in Europa e molto frequentato negli Stati Uniti: il saggio interpretativo che cerca di capire – e di spiegare a un pubblico non specialistico, spesso con una scrittura brillante e tagliente - che cosa sta succedendo e che cosa succederà nel mondo globalizzato, alle prese con una crisi di portata epocale che non accenna a passare. Siccome la crisi, nata dall’economia, investe sempre di più tutte le dimensioni della vita, gli autori – quasi sempre scienziati sociali o commentatori di professione - escono dalle loro specializzazioni e tentano sintesi che coinvolgono altre discipline, spesso facendo così di queste loro opere delle piattaforme per lanciare messaggi e raccomandazioni ai politici e ai normali cittadini.  


Al loro numero si è aggiunto Luigi Zingales, italiano per formazione, americano per adozione intellettuale, con una brillante carriera che parte dalla Bocconi, fa una sosta a Boston, dove Zingales consegue un dottorato al MIT e giunge infine a quel vero e proprio tempio del pensiero liberista che è l’Università di Chicago. Il suo non è un semplice messaggio ma, stando al titolo italiano, un Manifesto capitalista, una rivoluzione liberale contro l’economia corrotta. (Il titolo inglese, più semplicemente è «Un capitalismo per la gente»).  

E’ indirizzato prevalentemente a un pubblico americano ma si adatta assai bene a situazioni italiane, specie con un’introduzione e una postfazione sull’Italia aggiunte appositamente dall’autore. E’ stato tradotto da Rizzoli proprio quando esplodevano i casi di corruzione che hanno terremotato il mondo della politica italiana e, forse anche sull’onda dell’attualità, ha totalizzato due edizioni nel solo mese di settembre. 

Il saggio di Zingales rappresenta una delle migliori analisi liberiste della crisi attuale. Secondo l’autore, il sistema capitalistico americano, con il suo incoraggiamento all’iniziativa del singolo, il suo principio di uguaglianza delle opportunità e il suo sistema di controlli e bilanciamenti, è il meccanismo più efficace per far aumentare la ricchezza e garantire al tempo stesso la libertà, lasciando ampio spazio a chi è più bravo e assicurando potenzialmente a tutti le stesse opportunità di far bene nella vita. Una democrazia che cerca di far rima con meritocrazia. 

Tutto bene, quindi, gli Stati Uniti sono un’isola felice o addirittura un pezzo di mondo nuovo? Ahimé, no perché questo capitalismo ha al suo interno una sorta di virus che lo sospinge verso evoluzioni negative. L’amicizia passa davanti all’uguaglianza delle opportunità: chi ha in mano le leve del potere applica le norme che lo favoriscono e lascia perdere quelle che penalizzano lui o i suoi amici. Si è così sviluppata una finanza clientelare con troppo potere, troppo grande per fallire, troppo grande per essere veramente gestita, troppo oligopolistica. In questa denuncia della cristallizzazione insediatasi al vertice del capitalismo moderno, i liberisti «puri e duri» come Zingales hanno accenti che li avvicinano molto agli avversari del liberismo. 

Vicini nelle critiche, distantissimi nelle soluzioni. Zingales è convinto che il capitalismo abbia solide fondamenta morali e che queste debbano essere riscoperte o comunque rivitalizzate. Un esempio tra i tanti: è molto diffusa la censura verso chi fa uso di doping nello sport, un’uguale censura dovrebbe andare a quelle imprese che fanno uso di quella particolare forma di doping che è la corruzione. Contro la corruzione l’autore propone, come antidoto a carattere generale, al quale se ne devono aggiungere di specifici, la trasparenza, il che significa la pubblicità dei dati, la loro facile consultabilità da parte di tutti, la semplificazione degli organi di controllo. Un po’ come contro il doping sportivo si usano esami clinici che devono essere rapidamente resi pubblici.  

E’ chiaro che queste ricette generali risultano particolarmente rafforzate nel caso di un paese come l’Italia, a lungo governato da quella che Zingales chiama la «peggiocrazia» e proprio attraverso la progressiva erosione dei principi del mercato e della sua etica, l’Italia del miracolo è diventata l’Italia del declino. Paradossalmente, proprio la crisi finanziaria potrebbe, secondo l’autore, rappresentare un’occasione di cambiamento. 
Di libri di questo tipo ce ne vorrebbero molti. In America essi rappresentano uno stadio pre-politico attraverso il quale è bene passare per attivare poi a uno stadio propriamente politico. In Europa e in Italia questa «pre-politica» è carente o del tutto assente. Potremo veramente rinnovare la politica?

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