Teatro Pedretti: qualcuno si è accorto che i lavori sono fermi

Nella pagina "Segnalazione dei Cittadini" sono apparsi tanti post e tutti interessanti. Risponderemo in modo puntuale a tutti.
In particolare è apparso un post molto semplice: a quando la riapertura del Pedretti?
Oggi compare una dichiarazione del Sindaco di Sondrio che " è molto arrabbiato perché ci ritroviamo senza Teatro"
Incredibile dopo un anno che i lavori sono sospesi ci si accorge che i lavori sono fermi!!!
Ricordiamo che l'argomento è stato oggetto di ben due interpellanze fatte in Consiglio Comunale dove la minoranza, saputa la difficoltà in cui versava la Sacaim ( ditta appaltatrice dei lavori), chiedeva soluzioni immediate alla Giunta.
Nonostante non si vogliano dare giudizi sulla vicenda è lecito chiedersi se forse non si è aspettato troppo per iniziare a valutare l'ipotesi di rifare la gara di appalto per proseguire con i lavori?
Che finisse così era troppo evidente come è evidente che i sondriesi dovranno aspettare almeno due anni per veder nascere il nuovo Teatro.

UN OBIETTIVO, TROPPE DIVISIONI

Interessante articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 29 agosto.
Un fondo ricco di spunti che vale la pena leggere. Lo proponiamo come base di dibattito e di discussione.


Si fa presto a dire crescita

UN OBIETTIVO, TROPPE DIVISIONI
Si fa presto a dire crescita
A causa del fatto che, per lo più, non si vuole concedere all'avversario una qualche dignità, ma anche a causa di una diffusa ignoranza della storia patria, il nostro dibattito pubblico tende quasi sempre a immiserire e a banalizzare ciò che non dovrebbe esserlo: le nostre divisioni. Esse non sono alimentate, come ci fa comodo credere, solo da contingenti conflitti di interesse. Riflettono, e riproducono, contrapposizioni antiche. Le divisioni politiche contingenti occultano radicate, profonde, e probabilmente incomponibili, divisioni culturali. Siamo divisi praticamente su tutto e il fatto che il nostro sia ancora uno Stato unitario, per di più corredato di una (claudicante) democrazia, è una specie di miracolo. Usiamo le stesse parole ma diamo loro significati antitetici. Se prescindiamo per un momento dagli interessi in gioco, ad esempio, che altro è lo scontro sulle intercettazioni (diritto di cronaca contro diritto alla privacy) se non una divisione che chiama in gioco due idee radicalmente diverse, e cariche di storia, della libertà?
La stessa cosa accade con un'altra parola che usiamo tanto, soprattutto da quando l'«oggetto» a cui si riferisce è sparito nel nulla: la parola in questione è «crescita». Tre partiti si confrontano e si scontrano sulla crescita. Il primo partito, più diffuso e ramificato di quanto si voglia credere, è quello dei nemici della crescita, dei fautori della de-industrializzazione del Paese. Varie pulsioni lo alimentano: la critica romantica della società industriale, un anticapitalismo che ha varie ascendenze culturali, utopie bucoliche, la sindrome «non nel mio giardino», il sogno di una società capace di eliminare il rischio, l'avversione per un sistema economico-sociale fondato sul continuo cambiamento.
Ma anche i fautori della crescita sono divisi al loro interno. Qui i contrasti si fanno più sottili, non sono sempre immediatamente riconoscibili. Lo stesso governo Monti appare attraversato da questa divisione. E ciò si riflette nei provvedimenti che esso appronta.
A confrontarsi e a scontrarsi sono il partito per il quale la crescita deve essere guidata dallo Stato, che pensa che il governo ne debba essere il deus ex machina , e il partito che la intende come il virtuoso sottoprodotto della libertà degli individui. Ne consegue che i due partiti, pur con alcune sovrapposizioni, attribuiscono compiti diversi al governo. Per il primo partito, il governo deve direttamente «farsi carico» della crescita. Per il secondo, invece, deve creare le condizioni perché siano i cittadini, con la loro libera attività, a farsene carico. Per dire, sia il segretario della Cgil Susanna Camusso nelle sue dichiarazioni che gli economisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina nei loro editoriali sul Corriere auspicano la crescita ma i mezzi a cui pensano per ottenerla non sono propriamente gli stessi. Alla prima concezione, per esempio, è associata l'idea di «politica economica» (salvo ricordare che già nella prima metà dello scorso secolo l'economista Joseph Schumpeter ammoniva che la politica economica è in realtà «politica e basta») e, in tempi passati, anche di «programmazione»: il governo, oltre a manovrare la spesa pubblica, deve marcare stretto, da vicino, gli operatori economici, gli spetta il compito del direttore d'orchestra.
Per la seconda concezione, invece, il governo, se vuole davvero la crescita, deve darsi due compiti essenziali: rendere efficienti (la miglior qualità possibile al costo più basso possibile) i servizi che gli spettano e mettere la società in condizioni di respirare, di non essere oppressa da un eccesso di regolamenti e tasse. Per la seconda concezione, non è compito del governo «promuovere» la crescita. Il suo compito è togliere gli ostacoli burocratici che impediscono alla libera attività dei cittadini di promuoverla.
Se fossimo un Paese meno complicato di come la storia ci ha reso, il confronto politico e, massimamente, il confronto elettorale, sarebbero chiarificatori: sinistra e destra si sfiderebbero proponendo ai cittadini due diverse visioni dei mezzi necessari per rilanciare la crescita economica. Ma siccome siamo complicati, da noi tutto si confonde: talché, a destra, a sinistra e al centro, troviamo, mescolati, i fautori di entrambe le concezioni, i rappresentanti di entrambi i partiti.
Per avere crescita serve dare impulso a un massiccio programma di opere pubbliche mantenendo la pressione fiscale al livello a cui è giunta oppure serve, prima di tutto e soprattutto, abbassare le tasse? La risposta qualifica l'interlocutore come appartenente all'uno o all'altro dei due partiti.
Forse, inadeguatezza di molti protagonisti a parte, una delle ragioni per cui l'esperimento di bipolarismo politico è fallito in questo Paese è che, oberati dalle cattive abitudini e eredità della Prima Repubblica, non siamo riusciti a farne lo strumento per incanalare e contrapporre visioni della crescita (e connesse prassi di governo) chiaramente e inequivocabilmente alternative. 

Un saluto affettuoso a Loredana

Certo che un po' di angoscia l'ha creata la notizia dell'omicidio compiuto in pieno centro ai danni di una donna molto conosciuta in città.
Ma come nella nostra tranquilla Sondrio succedono queste cose? Ma come è possibile?
Ci uniamo al dolore dei familiari per la perdita di Loredana e nel contempo riflettiamo su quanto poco conosciamo le persone che frequentiamo e che per un periodo ci affiancano nel percorso quotidiano della nostra vita.
Vogliamo semplicemente  ricordare Loredana Vanoi e ringraziarla per il bene che ha fatto come insegnante e come donna impegnata nella cosa pubblica

Tasse locali raddoppiate E in città aumenta l'Imu

Tasse locali raddoppiate negli ultimi 15 anni, come dice il rapporto stilato dalla Cgia di Mestre e reso noto ieri, eppure conti del Comune che continuano a non tornare. Tanto che con il pagamento del saldo dell'Imu a Sondrio arriverà anche l'aumento dell'aliquota sulle seconde case. Il flusso delle cattive notizie per i contribuenti, già alle prese con i rincari che si prospettano per l'autunno, non si arresta neppure davanti alla calura estiva. L'ultima in ordine di tempo arriva da Mestre, dalla Cgia che ha calcolato il trend delle tasse locali negli ultimi anni in Italia. Il totale dei tributi negli ultimi 15 anni è arrivato all'importo record di 102 miliardi di euro, con un aumento del 114,4% rispetto al 1996, primo anno da cui è partito il calcolo del gettito della tassazione regionale, provinciale e comunale. In tutto ciò i sondriesi sono tra i più tartassati. Sempre la Cgia, confermando di fatto un dato già reso noto dalla Cisl, ha detto infatti che nel 2011 i sondriesi sono quelli che hanno pagato più tasse locali. E a settembre arriverà l'aumento dell'Imu sulle seconde case: «Una certezza - dice l'assessore Gianpiero Busi -, ma ancora non abbiamo definito di quanto sarà il ritocco». fonte: La Provincia Quotidiano di Sondrio del 22 agosto 2012

I sondriesi sono i più tartassati

Le belle notizie non finiscono mai. La Cgia di Mestre pubblica il resoconto delle tasse ed emerge che a Sondrio i cittadini sono tra i più tartassati. Sarà la diminuzione dei trasferimenti dal centro, sarà che non si riesce a contenere la spesa ma di fatto le tasse aumentano.
Per la verità questo dato era già noto. Da qualche mese si sapeva che eravamo al quinto posto per tassazione locale.
A questa notizia se ne aggiunge un'altra:  a settembre ci sarà un ritocco all'insù sulle aliquote IMU per le seconde case. La dizione "seconde case" si riferisce anche agli immobili che ospitano attività produttive ( commercianti, artigiani, servizi.......) e che subiranno un ulteriore prelievo fiscale in un momento non molto felice per l'economia in generale.
Certo che l'IMU non è una tassa decisa dai comuni ma imposta dal governo ma sta di fatto che ancora una volta si decide di aumentare le tasse.
Ci chiediamo se in questo momento non si debbano trovare altre soluzioni e se non si debba essere più sensibili nei confronti di coloro che ancora oggi rischiano con le proprie attività. Tassare chi produce è, in momenti di recessione, una politica che frenerà ancora di più l'economia locale a scapito di tutti coloro che determinano l'indotto.
In special modo in una città come quella di Sondrio dove i "piccoli" cercano con fatica di trovare la quadra e dove la minaccia della loro scomparsa metterà in gioco la stessa nostra identità, i nostri centri storici e le attività che da sempre animano il capoluogo. Nel contempo aliquote proibitive terranno lontani gli imprenditori che sul nostro territorio volevano investire.


Una nazione vera o un mostriciattolo


L'editoriale del Corriere della Sera di questa mattina parla di Europa e ci sembra interessante l'opinione di Galli Della Loggia.



Ci «serve» un'Europa politica. Lo ripetono in molti, aggiungendo che essa deve essere costruita soprattutto con realismo all'insegna dei sacrosanti interessi nazionali mediati da una giusta dose d'integrazione. Questa è l'Europa politica che utilitaristicamente «ci serve»: un termine che non deve farci paura.
Bene. Ma a tanta ragionevolezza (virtù che apprezzo, sia chiaro) vorrei porre una domanda: è davvero così che possono nascere, che nascono, i soggetti politici? Perché sono utili, perché «servono»? Ne è mai nato qualcuno a questo modo? Mi permetto di dubitarne.
La storia non dimostra quasi nulla. Ma se c'è una cosa che perlomeno essa sembra indicare è che i soggetti politici veri - cioè quelli dotati di sovranità (precisamente ciò che oggi è indispensabile alla Ue) - non nascono da una costellazione di interessi. Altrimenti non si capirebbe, tra l'altro, perché non sia mai riuscita a diventare un autentico soggetto politico quella elefantiaca costellazione di finanziamenti, contributi, fondi di ogni tipo - cioè di interessi, appunto - che è stata finora proprio l'Europa di Bruxelles.
In realtà, l'europeismo finora dominante è andato a sbattere contro un muro non già a causa del suo utopismo e dei suoi miti, ma semplicemente perché il suo è stato un utopismo sbagliato. Sbagliato precisamente in quanto utopismo degli interessi, fondato sul mito pervadente dell'economia (donde Maastricht e l'euro), anziché essere un vero utopismo politico: vale a dire fondato su un'«idea», su una grande speranza mobilitante, l'unica capace d'alimentare sogni ed energie, di animare valori antichi e di crearne di nuovi. Mi dispiace per i real-materialisti («volgari», avrebbe aggiunto qualcuno), ma alla fine anche le sovranità politiche nascono da quella che Shakespeare chiamava la «materia di cui sono fatti i sogni» (e certamente di tale materia era fatto il Manifesto di Ventotene; peccato che esso accozzasse miti politici senza fondamento e una lettura assolutamente irreale dell'imminente dopoguerra europeo. Ciò che spiega, tra l'altro, perché il Manifesto di cui sopra sia sempre rimasto lettera morta, nonostante i salamelecchi universali).
Le sovranità, in altre parole, rimandano sempre, non agli interessi, ma a una lettura alta e forte del momento fondativo della politica, del «politico» in quanto riassunto di visione storica e d'intensità etica convergenti in un'appassionata determinazione. Solo ciò si è rivelato storicamente capace di dare vita a quelli che, non già il filonazista Carl Schmitt, ma il liberale Raymond Aron - e proprio a proposito dell'Europa, come ha ricordato un recente articolo di Commentaire - considerava i due elementi essenziali per l'esistenza di qualunque aggregato politico. E cioè, a) il senso di appartenenza, la necessaria coesione collettiva all'interno, in grado di mettere capo, b) a un'adeguata capacità di azione all'esterno. Secondo una prospettiva, come si vede, che da un lato afferma l'importanza dell'identità, dall'altro sottintende una scena mondiale inevitabilmente agonistico-conflittuale. Una prospettiva secondo la quale - cito ancora da Aron - un'unità politica è «una collettività umana cosciente della propria originalità e risoluta ad affermarla di fronte alle altre collettività».
Ben diversa, invece, è l'idea che hanno avuto fino ad oggi le classi dirigenti del Continente e la burocrazia di Bruxelles, convinte dall'europeismo ufficiale che la sostanza della politica sia solo quella di assicurare l'esercizio regolare e tranquillo delle attività indifferentemente di tutti e di ciascuno; e che per far ciò non serva alcuna identità storica né alcun particolare legame tra gli individui se non quello di regole comuni. Dunque l'Europa come dispiegata vocazione al multiculturalismo, e insieme come «area della democrazia e dei diritti», nonché abitatrice di un mondo felicemente avviato dalla Provvidenza al ripudio della guerra e alla composizione pacifica d'ogni conflitto. Ma davvero può essere questa l'Europa politica? Potrà mai essa nascere domani su queste basi (anche se finora, chissà perché, non l'ha fatto)?
Certo non è alcun vertice che a questo punto può decidere. A questo punto sono le opinioni pubbliche, sono gli Europei, che devono prendere la parola: dire se vogliono continuare sulla strada attuale degli «interessi», continuando a sperare non si sa in che cosa, o se invece vogliono, come io credo sia necessario, mettere in moto una dinamica nazionale europea.
Un'Europa politica, per essere tale, deve avere un'autorità sovrana capace di adottare decisioni vincolanti per tutti, e proprio perciò, dunque, legittimata democraticamente. Decisioni difficili, che comportano rischi e incognite, con prezzi da pagare per molti, e per giunta distribuiti in misura ineguale tra Stato e Stato. Perché queste due cose siano possibili - la legittimazione di un'autorità unica, e il consenso alle sue decisioni - è necessario però che il sentimento nazionale degli Stati nazionali europei, spesso antico di secoli e vivo specialmente nelle classi popolari, e pronto a far lega con il populismo, trovi un adeguato contrappeso in un autentico sentimento nazionale europeo. Altrimenti esso finirà necessariamente per rivoltarsi contro il nuovo assetto.
L'obiettivo al quale cominciare a lavorare già da oggi, dunque, deve essere la Nazione europea. Cioè un'Europa che sia consapevole di tutto il suo passato, della portata e del significato dei valori e delle potenzialità di questo; che sia decisa a far valere gli uni e le altre nell'arena mondiale. Per costruire la quale serve forse una vera e propria rivoluzione culturale, sì: innanzi tutto contro il vecchio europeismo e i suoi feticci «politicamente corretti». Ma non è proprio dalle rivoluzioni che tanto spesso sono nate per l'appunto le vere sovranità? L'alternativa, mi sembra, è un mostriciattolo politico in sedicesimo, nato per tutelare gli «interessi» ma destinato inevitabilmente, prima o poi, a vedere andare al diavolo anche quelli insieme a tutto il resto.
Ernesto Galli Della Loggia
dal Corriere della Sera del 20 agosto 2012

Etica e Politica

                                           Così scriveva Benedetto Croce nel 1931......
Cosa chiediamo agli uomini che ambiscono a governare la cosa pubblica?
Onestà. Ma cos'è l'onesta per un "politico"?
Ecco la risposta di Benedetto Croce.
Riteniamo possa essere uno scritto fonte di riflessione.

"Un’altra manifestazione della volgare inintelligenza circa le cose della politica è la petulante richiesta che si fa della "onestà" nella vita politica. L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica.Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare, perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. (…) E’ strano (cioè, non è strano, quando si tengano presenti le spiegazioni psicologiche offerte di sopra) che laddove nessuno, quando si tratti di curare i propri malanni o sottoporsi a una operazione chirurgica, chiede un onest’uomo, e neppure un onest’uomo filosofo o scienziato, ma tutti chiedono e cercano e si procurano medici e chirurgi, onesti o disonesti che siano, purché abili in medicina e chirurgia, forniti di occhio clinico e di abilità operatorie, nelle cose della politica si chiedano, invece, non uomini politici, ma onest’uomini, forniti tutt’al più di attitudini d’altra natura."Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica" - si domanderà. L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze."

Benedetto Croce: governo degli onesti? Utopia per imbecilli
(da Etica e Politica, 1931)