UN OBIETTIVO, TROPPE DIVISIONI

Interessante articolo di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 29 agosto.
Un fondo ricco di spunti che vale la pena leggere. Lo proponiamo come base di dibattito e di discussione.


Si fa presto a dire crescita

UN OBIETTIVO, TROPPE DIVISIONI
Si fa presto a dire crescita
A causa del fatto che, per lo più, non si vuole concedere all'avversario una qualche dignità, ma anche a causa di una diffusa ignoranza della storia patria, il nostro dibattito pubblico tende quasi sempre a immiserire e a banalizzare ciò che non dovrebbe esserlo: le nostre divisioni. Esse non sono alimentate, come ci fa comodo credere, solo da contingenti conflitti di interesse. Riflettono, e riproducono, contrapposizioni antiche. Le divisioni politiche contingenti occultano radicate, profonde, e probabilmente incomponibili, divisioni culturali. Siamo divisi praticamente su tutto e il fatto che il nostro sia ancora uno Stato unitario, per di più corredato di una (claudicante) democrazia, è una specie di miracolo. Usiamo le stesse parole ma diamo loro significati antitetici. Se prescindiamo per un momento dagli interessi in gioco, ad esempio, che altro è lo scontro sulle intercettazioni (diritto di cronaca contro diritto alla privacy) se non una divisione che chiama in gioco due idee radicalmente diverse, e cariche di storia, della libertà?
La stessa cosa accade con un'altra parola che usiamo tanto, soprattutto da quando l'«oggetto» a cui si riferisce è sparito nel nulla: la parola in questione è «crescita». Tre partiti si confrontano e si scontrano sulla crescita. Il primo partito, più diffuso e ramificato di quanto si voglia credere, è quello dei nemici della crescita, dei fautori della de-industrializzazione del Paese. Varie pulsioni lo alimentano: la critica romantica della società industriale, un anticapitalismo che ha varie ascendenze culturali, utopie bucoliche, la sindrome «non nel mio giardino», il sogno di una società capace di eliminare il rischio, l'avversione per un sistema economico-sociale fondato sul continuo cambiamento.
Ma anche i fautori della crescita sono divisi al loro interno. Qui i contrasti si fanno più sottili, non sono sempre immediatamente riconoscibili. Lo stesso governo Monti appare attraversato da questa divisione. E ciò si riflette nei provvedimenti che esso appronta.
A confrontarsi e a scontrarsi sono il partito per il quale la crescita deve essere guidata dallo Stato, che pensa che il governo ne debba essere il deus ex machina , e il partito che la intende come il virtuoso sottoprodotto della libertà degli individui. Ne consegue che i due partiti, pur con alcune sovrapposizioni, attribuiscono compiti diversi al governo. Per il primo partito, il governo deve direttamente «farsi carico» della crescita. Per il secondo, invece, deve creare le condizioni perché siano i cittadini, con la loro libera attività, a farsene carico. Per dire, sia il segretario della Cgil Susanna Camusso nelle sue dichiarazioni che gli economisti Francesco Giavazzi e Alberto Alesina nei loro editoriali sul Corriere auspicano la crescita ma i mezzi a cui pensano per ottenerla non sono propriamente gli stessi. Alla prima concezione, per esempio, è associata l'idea di «politica economica» (salvo ricordare che già nella prima metà dello scorso secolo l'economista Joseph Schumpeter ammoniva che la politica economica è in realtà «politica e basta») e, in tempi passati, anche di «programmazione»: il governo, oltre a manovrare la spesa pubblica, deve marcare stretto, da vicino, gli operatori economici, gli spetta il compito del direttore d'orchestra.
Per la seconda concezione, invece, il governo, se vuole davvero la crescita, deve darsi due compiti essenziali: rendere efficienti (la miglior qualità possibile al costo più basso possibile) i servizi che gli spettano e mettere la società in condizioni di respirare, di non essere oppressa da un eccesso di regolamenti e tasse. Per la seconda concezione, non è compito del governo «promuovere» la crescita. Il suo compito è togliere gli ostacoli burocratici che impediscono alla libera attività dei cittadini di promuoverla.
Se fossimo un Paese meno complicato di come la storia ci ha reso, il confronto politico e, massimamente, il confronto elettorale, sarebbero chiarificatori: sinistra e destra si sfiderebbero proponendo ai cittadini due diverse visioni dei mezzi necessari per rilanciare la crescita economica. Ma siccome siamo complicati, da noi tutto si confonde: talché, a destra, a sinistra e al centro, troviamo, mescolati, i fautori di entrambe le concezioni, i rappresentanti di entrambi i partiti.
Per avere crescita serve dare impulso a un massiccio programma di opere pubbliche mantenendo la pressione fiscale al livello a cui è giunta oppure serve, prima di tutto e soprattutto, abbassare le tasse? La risposta qualifica l'interlocutore come appartenente all'uno o all'altro dei due partiti.
Forse, inadeguatezza di molti protagonisti a parte, una delle ragioni per cui l'esperimento di bipolarismo politico è fallito in questo Paese è che, oberati dalle cattive abitudini e eredità della Prima Repubblica, non siamo riusciti a farne lo strumento per incanalare e contrapporre visioni della crescita (e connesse prassi di governo) chiaramente e inequivocabilmente alternative. 

1 commento:

  1. Articolo interessante ma, a mio avviso, molto legato a concetti del passato. Panebianco denigra i critici della crescita e spacca ancora le categorie in destra (coloro che non vogliono interventi dello stato) e sinistra (quelii che li vogliono). Sulla crescita solo una cosa: ma il modello fin qui proposto ha dato buoni risultati? Possibile che dobbiamo acriticamente accettare sempre le soluzioni che ci hanno portato al massacro? Parliamone!!!
    Sulle categorie ritengo siano superate e che vada ricercata una nuova logica che parta dal chiedersi quali sono le cose importanti da perseguire.
    grazie ecomplimenti per l'iniziativa

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