Lo spread: se patrimoniale, pronti alle piazze

Da Chicago Blog
Oscar Giannino

Sono cominciati i giorni di passione. Quelli veri, per Grecia, Spagna e Italia. Dopo tante manovre correttive, e mentre è in corso una profonda recessione che colpisce i redditi delle famiglie e mette alle corde le imprese. Dopo 31 mesi di crisi dell’euroarea, dopo 26 eurovertici e molti mezzi passi avanti sulla via di meccanismo un po’ più cooperativi contro la divaricazione del rischio sovrano nell’euroarea. Eppure questa volta la sensazione è che siamo proprio al dunque. Alla prova finale. Lo spread italiano ieri oltre quota 520 e quello spagnolo 100 punti più su si devono infatti a un fatto concreto. Ai mercati, l’indicazione data è di provare il tutto per tutto entro il mese di agosto. E i mercati ci proveranno eccome, come si è visto ieri.
Ma quali sono, i segnali che i mercati interpretano come una muleta rossa brandita davanti alle corna del toro? Che cosa si può concretamente immaginare che l’Europa possa opporre? E in caso contrario, che cosa possiamo fare noi o che cosa ci verrà riservato? Sono tre quesiti uno più ansiogeno dell’altro. Ma tant’è, di ansia e ansiolitici è fatta la vita dell’Europa, da un bel pezzo a questa parte.
Cominciamo allora da ciò che induce i mercati a provarci. I segnali sono venuti in larga parte dalla Germania, ma la Francia è e resta decisiva. Fino a una decina di giorni fa, sembrava che l’eurovertice del 28 giugno avesse  diffuso una consapevolezza diversa anche a Berlino. Certo, il taglia spread chiesto dal governo Monti arrischiando il veto non era di fatto passato e non è operativo. Ma il calo degli indici di fiducia e degli ordinativi tedeschi per la componente di commercio intraeuropeo sembrava radicare per la prima volta la cognizione che, a furia di giocare col fuoco e continuare a deflazionare gli eurodeboli, anche per l’export tedesco e dunque per la crescita germanica il rischio diventava forte.
Poi, purtroppo, un  nuovo cambio di marcia. La decisione della Corte di Karlsruhe di prendersi fino al 15 settembre per esprimersi sul rispetto da parte dell’ESM – il nuovo fondo salvabanche e salvastati subentrato dal primo luglio all’EFSF – della Legge Fondamentale tedesca, è  apparsa a tutti come un invito ad approfittare di agosto per “andar corti”, come si dice, cioè a guadagnare vendendo i titoli eurodeboli facendone impennare spread e rendimenti. Subito dopo, han ripreso a fioccare dichiarazioni da parte di esponenti politici tedeschi appartenenti al partito liberale, democristiani, cristiano-sociali e anche socialdemocratici, nuovamente ispirate alla linea “basta aiuti”. E’ tornata a gonfiarsi l’aspettativa del “fuori la Grecia dall’euro”.
Lo stesso Fondo Monetario Internazionale, nel suo ultimo outlook sull’Italia la settimana scorsa, irritualmente ha previsto che una crisi a breve di solvibilità dell’Italia può avvenire. Così gli spread hanno accentuato ascesa e divaricazione la scorsa settimana, la serie di scadenze dei titoli pubblici tedeschi a rendimento negativo ha preso ad estendersi. Per la prima volta da molto tempo, la vendita massiccia di di titoli eurodeboli di banche e fondi anglosassoni è stata pareggiata non solo  da sottoscrizioni di titoli tedeschi come fossero a rischio negativo, ma si è visto un fenomeno analogo estendersi agli acquisti di titoli francesi. Come a dire che il mercato anglosassone ha spinto Parigi a tenersi unita alla linea tedesca, visto che lo spread francese era inverso rispetto a quello spagnolo e italiano.
Il fatto ha la sua importanza. Se i mercati nelle prossime sedute dovessero continuare a dare l’impressione a banche e governo francesi si essere immuni dalla nuova crisi che si abbatte su Atene, Madrid e Roma, si indebolirebbe di molto l’unica vera arma europea a disposizione in agosto per evitare il peggio. Il divieto di vendite di titoli allo scoperto disposto ieri dalla Consob per una settimana e a Madrid a oltranza, ha avuto sì l’effetto di contenere i danni di una giornata che rischiava di essere abissale, e che ha visto invece per effetto di queste misure perdere di più le borse franco-tedesche. Ma il mercato “corto” si riorganizza e aggira tali divieti, come abbiamo visto in passato. Di conseguenza, finché non c’è un ESM in campo magari munito di licenza bancaria, nel breve a poter erigere un muro contro l’attacco dei mercati c’è una sola istituzione europea, la BCE.
Siamo sul filo dell’interpretazione dei suoi poteri secondo il Trattato. La monetizzazione del debito pubblico è vietata dal Trattato, e un acquisto sistemico da parte BCE dei titoli degli eurodeboli si presterebbe all’accusa.  Ma alla BCE spetta per statuto non solo salvaguardare la stabilità della moneta contenendo l’inflazione, ma anche la salvaguardia sistemica finanziaria in quanto tale. Ed essa è a rischio, perché ormai è a rischio l’euro.
Mario Draghi ha dichiarato di esser pronto a fare tutto il possibile. Ma, in concreto, per i due terzi del board necessari ad acquisti massicci della BCE – ne servirebbero di illimitati, per battre la speculazione – serve il consenso della Francia. Senza Banca di Francia, con Bundesbank, finlandesi, olandesi e austriaci contrari, è veramente difficile immaginare che la BCE possa fare da salvagente.
E allora? Senza scudo europeo, a difesa dell’euro in quanto tale ormai e non di Roma o Madrid, per l’Italia le alternative concrete sono due. In  caso di un paio dis ettimane stabilmente sopra la soglia di 500 punti di spread, un’intesa frnco-tedesca potrebbe tirar fuori dal cappello un accordo col Fondo Monetario della signora Lagarde e mettere l’Italia di fronte  a una proposta vincolante. Poiché il nostro problema è l’eccesso di debito pubblico, con alte tasse e alta spesa che non lasciano più margine ad avanzi primari consistenti per anni atti a ridurre il debito, come per tanti anni abbiamo promesso senza mantenere, all’ITalia si potrebe chidere subito di aderuire a u fondo straordinario di riduzione del debito, asservendo una decina di punti di Pil di gettito fiscale per diversi anni, e aggiungendovi da subito una forte patrimoniale in forma di prestito forzoso. L’ipotesi è assai più concreta di quanto si ammetta a Roma, dicono i bene informati tra Berlino, Parigi e Washington. Altrimenti, l’Italia dovrà essa da sola avanzare una proposta credibile per abbattere il suo debito pubblico cedendo attivi patrimoniali pubblici.
Purtroppo, è ciò che sinora è mancato al governo Monti. Ma potrebbe essere l’unica freccia al nostro arco. Evitando la patrimoniale sugli italiani, che farebbe insorgere gli italiani già così colpiti nel loro reddito. E soprattutto a quel punto avendo titolo in Europa per mostrare a francesi e tedeschi che l’euro vale scudi cooperativi ai quali sinora resistono. Al Tesoro ci stanno concretamente pensando, con procedure d’emergenza. Perché, in caso di un ritorno alla lira che ci venisse imposto a forza, di sicuro il nostro export con una forte svalutazione delle ragioni di scambio monetarie farebbe molto, molto male  a quello tedesco.
Solo che al Tesoro piacciono le proposte che fanno appello al patrimonio privato degli italiani. Arzigogolate come volete, prestito straordinario nazionale, sottoscrizione di quote di un fondo garantito dagli attivi pubblici (che così non si cedono), ma sempre patrimoniale è.
In quel caso, credo che sarei tra chi chiede agli italiani di scendere nelle piazze.
Molti ci darebbero degli irresponsabili, direbbero che soffiamo sulla demagogia. Soprattutto nel fronte di chi sostiene Monti dicendo “non è colpa sua, i politici di prima sono peggio e più colpevoli, avanti con lui”.
Ora che Monti sia incolpevole del disastro ereditato da destra e sinistra della seconda repubblica, è un fatto.
Che abbia mantenuto la via del più tasse, è un secondo fatto.
Che non abbia avviato dismissioni pubbliche perché Ragioneria e Tesoro da sempre resistono, è un terzo fatto.
Se arriva la patrimoniale, i fatti due e tre diventano prevalenti, ed è soprattutto il terzo a portare alla patrimoniale. Il primo vale sempre però,  nel senso che andando nelle piazze a urlare, ci ricorderemmo di farlo anche contro tutti i predecessori di Monti, ai quali dobbiamo questa bella condizione.

Sondrio spende più di Napoli per i rifiuti e gli incarichi

dalla provincia di sondrio del 24 luglio:

Il Comune di Sondrio spende più di Milano per comunicazione e rappresentanza, più di Torino e Napoli per gli incarichi professionali, quasi il doppio di Trento per i contratti rifiuti. Per utenze, affitti, pulizie, manutenzione di immobili e auto invece palazzo Pretorio è a metà classifica fra i capoluoghi, così come nella voce di spesa per i contratti di servizio del trasporto pubblico.


E' quanto emerge da un confronto dei dati di bilancio forniti dal ministero dell'Economia, pubblicata dal Sole 24Ore, e che fa i conti in tasca sulle voci di spesa che riguardano «l'acquisto di beni, le prestazioni di servizi e l'utilizzo di beni di terzi», voci sott'inchiesta dalla spending review. Gli enti che spendono molto in questi campi dovranno farsi carico della quota più consistente dei 2,5 miliardi di euro di tagli previsti.


L'analisi prende in esame una serie di indicatori, calcolando per ogni Comune l'esborso annuale ogni 100 abitanti. Per comunicazione e rappresentanza, ad esempio, Sondrio spende ogni anno 1.652 euro, meno dei 4.819 di Siena che guida la classifica ma molti di più rispetto ai 595 di Lecco e ai 1.099 di Milano. Anche per gli incarichi professionali il capoluogo valtellinese è abbastanza in alto, in classifica: la ricerca riporta una spesa di 674 euro (posizione numero 17), contro gli 8 euro di Napoli, i 163 di Bergamo o i 610 di Como.
In questo caso in cima alla classifica c'è Venezia, con 30.863 euro all'anno ogni 100 abitanti. Per i contratti del trasporto pubblico palazzo Pretorio spende 2.534 euro contro i 13.443 di Bergamo, ad esempio: in testa alla classifica c'è Milano con 49.337 euro.


Per i contratti di servizio per lo smaltimento dei rifiuti Sondrio occupa il posto numero 16 in classifica, con 19.351 euro contro i 13.164 di Lecco, i 15.866 di Monza, i 14.373 di Brescia, cifra comunque lontana dai 40.044 euro di Enna, la città in testa alla classifica. Ma in graduatoria c'è anche Verbania che spende 14 euro, più alcune città che segnalano un'uscita di zero euro perché il servizio è regolato con modalità diverse dai contratti di servizio. E questo è uno degli elementi che il quotidiano economico segnala fra i punti di cui i conteggi ministeriali dovranno tener conto, insieme a qualche dubbio sull'attenzione di tutti i Comuni nel trasmettere i numeri a Roma, visto che i dati di alcuni enti indicano zero euro di spesa per servizi come la pulizia degli uffici.


Tornando alle cifre, Sondrio si piazza a metà classifica, più o meno, nel campo delle spese per le utenze - telefono, acqua, energia elettrica, riscaldamento e così via - con 5.125 euro all'anno ogni 100 abitanti (posto 52), nei costi delle pulizie (1.587 euro, posto numero 37), nella manutenzione ordinaria di immobili e auto, con 1.907 euro che valgono il posto numero 55 in classifica. Meno di mille euro, 954 ogni 100 abitanti, è invece la spesa per affitti e noleggi, mentre per equipaggiamenti e vestiario il dato è di 91 euro ogni 100 abitanti. Per cancelleria, informatica e materiali di consumo, infine, palazzo Pretorio spende 1.575 euro, contro i 190 di Rovigo.

Senza la politica il futuro è buio


Alla luce di ciò che sta avvenendo in queste ore nelle borse europee, e soprattutto italiana, ci sembra opportuno proporre questo editoriale di Antonio Dostuni apparso oggi sul quotidiano" La Provincia".

Lo scandalo Barclays, che negli ultimi giorni ha scosso i mercati, dimostra ancora una volta l'opacità del capitalismo finanziario e le gravi responsabilità del sistema bancario nell'avere inoculato nell'economia mondiale il germe di una stagflazione (stagnazione ed inflazione insieme) permanente che rischia di mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del capitalismo. La vicenda è nota. I manager di Barclays, che rappresenta la seconda banca inglese, hanno ammesso di aver manipolato, dal 2005 a l 2009, il tasso di riferimento del mercato interbancario. Si tratta dell'ennesimo caso che dimostra la necessità, divenuta ineludibile, di riportare l'asse della storia sul crinale della politica per evitare che gli stati nazionali si riscoprano , un giorno, deprivati della propria sovranità. Il rilancio della politica, pertanto, non significa altro che riaffermazione del primato della legalità. La globalizzazione è un processo che può essere governato a condizione che il diritto si riappropri della sua naturale vocazione a dettare le regola del gioco. I mali del capitalismo finanziario risiedono esattamente nella sua innata propensione a rifiutare le regole in nome della sacralità del mercato. Da questo nasce quella che Bauman definisce” la solitudine del cittadino globale”, di un cittadino sempre più spaventato da un mondo governato da processi economici di cui egli non è in grado di comprendere né le origini né le dinamiche.
Se è vero che indietro non si può tornare, è altrettanto vero che si può ( e si deve!) trovare la forza di creare un diritto soprannazionale in grado di determinare principi comuni volti a governare gli “animal spirits” di un capitalismo storicamente refrattario alle regole che conserva la poderosa capacità di creare ricchezza senza, tuttavia, distribuirla equamente. Questo è lo scopo precipuo della democrazia, a questo serve la politica che non può limitarsi a svolgere un ruolo subalterno all'economia, come è stato finora. Questo dovrebbe essere il principio su cui l'Europa dovrebbe fondare la propria dialettica con gli altri Stati. Risulta fin troppo chiaro, oramai, che la recessione non potrà mai essere battuta per via omeopatica, come pensa la BCE, attraverso, cioè, l'adozione di politiche restrittive che impoveriscono ulteriormente il cittadino.
Occorre uscire dalla logica economicistica di ritenere che il benessere dei popoli possa dipendere dall'andamento dello spread che, salendo, fa aumentare in un sol colpo il debito di uno Stato e la massa dei disoccupati. Ridare lo scettro alla politica significa, per esempio, restituire al sistema bancario il ruolo naturale di supporto alle imprese , imponendo di fornire un aiuto alla produzione. Ridare alla politica la sua centralità, rinunciando ad essere sempre ancella dell'economia, significa dire chiaro alla BCE che occorre restituire alla democrazia il potere di decidere le sorti del cittadino. In caso contrario, la democrazia è un guscio vuoto nel quale perfino le elezioni sono un'inutile liturgia.
Antonio Dostuni
da "La Provincia" del 23 luglio 2012

Consiglio Comunale di Sondrio

 Venerdì 20 luglio alle ore 18.00 si riunisce il Consiglio Comunale di Sondrio.

 Questo l'ordine del giorno.

1)    Comunicazioni del Presidente del Consiglio comunale e del Sindaco;

2)    Ordine del giorno del consigliere Schena (Partito Democratico) ed altri avente ad oggetto: "Cittadinanza ai ragazzi di origine straniera nati o cresciuti in Italia”;

3)    Piano per il diritto allo studio. Anno scolastico 2012 - 2013. Approvazione;

4)    Variante al Piano Attuativo dell’Ambito n.15 dei tessuti di completamento - artt.18 e 19 delle NTA del Piano delle Regole - in variante al Piano di Governo del Territorio vigente – Approvazione ai sensi dell’art.14 della L.R. n.12/2005 e s.m.e i.;

5)    Approvazione nuovo regolamento per la disciplina dei contratti del Comune e per le acquisizioni in economia.

Si ricorda che le sedute del Consiglio Comunale sono pubbliche e quindi aperte a tutti i cittadini.

I ragazzi della Valle

Si è svolta recentemente una rassegna cinematografica dove i ragazzi erano chiamati a mandare un filmato sulla condizione giovanile nella nostra città.
Questo video intitolato "I ragazzi della Valle" ha vinto.
Ci è sembrato opportuno proporlo come spunto di riflessione ed anche, perchè no, di divertimento.
Molto bravi!!!


I ragazzi della Valle




Il dibattito delle idee

                                            dal Corriere della Sera di Sabato 14 luglio 2012

Ispiratevi alle città del Rinascimento


Se l' Italia e la Grecia hanno un grande passato e un modesto presente ci sarà pure una ragione. Marcia Christoff Kurapovna l' ha individuata nello Stato nazionale. Mentre Atene, Corinto, Tebe prosperavano e seminavano civiltà, mentre le città rinascimentali italiane e le repubbliche marinare fiorivano e preparavano la modernità, ora le entità Italia e Grecia sono quasi diventate sinonimi di crisi e di autoinganno: perché nell' Ottocento hanno scelto il modello sbagliato, romantico ma sbagliato. La signora Kurapovna è una studiosa di questioni europee e autrice di un libro sulla Seconda guerra mondiale in Jugoslavia, Shadows on the Mountain, che ha fatto discutere. Sull' opportunità di riprendere in considerazione il modello delle città-Stato ieri ha pubblicato un articolo sul Wall Street Journal Europe e ha dato questa intervista al Corriere. Lei fa un' analisi molto radicale di Italia e Grecia. Li considera Stati falliti? «Vedo lo Stato greco come un fallimento. Ho vissuto ad Atene negli anni Novanta, è stato piacevolissimo, l' ho amata molto. Adesso è un incubo. Per l' Italia è diverso, rimangono industrie eccellenti, non è ancora a quel punto. L' Italia sarà sempre grande in termini di bellezza, scienza, letteratura. Ma le questioni fondamentali che stanno alla base della mia ricerca, che ha un interesse filosofico, sono due: come può l' Italia tornare grande, in termini di status; e stabilire se lo Stato centralizzato funziona». Prima la risposta alla seconda domanda. «Non funziona, è davanti agli occhi di tutti. L' idea di one-size-fits-all, di una politica che vada bene per l' intero Paese, è sbagliata. Venezia era Venezia, Genova era Genova, Firenze era Firenze: le repubbliche marinare e i comuni avevano una loro personalità. Ogni parte dell' Italia era unica. Con il risultato che le città-Stato erano in competizione tra loro e questo era il motore della crescita, dell' innovazione, del potere. Nel Rinascimento si premiavano i talenti e nasceva l' uomo economico. Il caso di Lucca e del suo leader Paolo Guinigi che tennero a distanza i Visconti di Milano è un esempio straordinario di indipendenza che produsse banca e industria. L' Italia non è più così». Ma era una terra divisa. «Era una terra senza governo centrale. Ma dopo il declino del Sacro Romano Impero, l' Italia era tenuta unita dalla concorrenza economica tra centri locali, tra città-Stato. Fu un periodo di sviluppo straordinario, senza precedenti, che creò prima ricchezza e poi virtù civica. I rapporti con il resto dell' Europa e del mondo crebbero, le esportazioni e le importazioni anche. Una dinamicità che si è poi persa». Colpa dello Stato? «Oggi mi pare che gli italiani abbiano paura delle imposizioni dello Stato centrale. Quando trovo italiani e greci all' estero vedo che in genere hanno grande successo, sono abili e di talento. In casa no. Credo che la ragione stia nel fatto che si sentono addosso l' imposizione politica inefficiente dello Stato. C' è la paura dello Stato centralizzato e inefficiente». È stata dunque un errore ottocentesco l' unità nazionale italiana? «Comprensibile data la realtà europea del periodo. Un' idea romantica. Ma l' unità dell' Italia la capisco ancora meno di quella della Grecia, che almeno fu dettata dal disfacimento dell' Impero Ottomano. Garibaldi e Cavour li capisco meno: unire qualcosa che non avrebbe funzionato. Morto Cavour, poi, è mancata ogni leadership, non si sono avute più soluzioni pratiche». Ora l' altra questione: come può l' Italia tornare grande? «Per spiegarlo uso l' esempio del Sud Tirolo (l' Alto Adige, ndr). Quando ogni regione si auto-organizza, le cose riprendono a funzionare, come lì. Quando si dà uno stop alle interferenze e alle imposizioni di Roma, intesa come centro dello Stato, l' innovazione e la crescita lievitano, scompare la paura dello Stato. E la competitività ne guadagna enormemente. Questo, credo, è quello che l' Italia dovrebbe imparare dalla sua storia». Cosa pensa della Lega Nord? «Confesso che inizialmente l' ho vista con simpatia. Quando è cresciuta mi pare che si sia invece persa, che non abbia più avuto spinta innovativa». Ma lei dunque immagina un' Italia delle regioni, dei comuni? «Come esito finale sì, delle regioni. Il primo passo necessario, probabilmente, sarebbe la separazione tra il Nord e il Sud. Per togliere paura ad ambedue le entità. Poi si dovrebbe andare verso regioni autonome, che si governano da sole. Dopo un po' si potrebbe introdurre qualcosa che dia un feeling simbolico di identità italiana, ma niente di più. Come in alcuni Paesi è la monarchia». Questa sua idea di Stato negativo vale solo per i Paesi mediterranei oppure anche per quelli del Nord? «Particolarmente per quelli mediterranei. Ma vale anche per gli altri. Io penso che, come entità politica, l' Europa sia finita. Credo nell' Europa culturale, nel senso dei valori dell' Occidente. Ma per il resto penso si debbano avere indipendenza, specializzazione, capacità di affrontare i propri problemi. E ognuno con la propria moneta». Politicamente fattibile? «Politicamente no, almeno per i prossimi 50 anni. Questione di mentalità. Ma intellettualmente praticabile subito. Credo che molta gente in gamba ci stia già pensando».
Taino Danilo
Corsera 14 luglio 2012

Ancora una volta

E' recente la notizia che il Comune di Morbegno sia intenzionato a prorograre la consegna dei lavori sull'area ex Martinelli così come chiesto dalle ditte costruttrici. Ancora una volta un'area molto vasta e di vitale importanza di una città rimarrà per anni "cantierata" per la gioia dei morbegnesi.
Fenomeni analoghi si stanno verificando anche in Sondrio (vedi area ex Carini) e tutto ciò comporta un desolante senso di disordine e di smarrimento. Attese opere non vengono realizzate e le speranze di riqualificazione vengono del tutto perse.
La crisi del settore è evidente e non ci sentiamo di colpevolizzare coloro che hanno come mission quella del costruire e del creare. Ci domandiamo se alla luce di questi fenomeni non si giunta l'ora, da parte delle Amministrazioni Comunali, di mettere uno stop ai volumi edificatori concessi. La crisi è in atto da anni ma le decisioni continuano ad essere prese. Siamo sicuri che gli stessi costruttori sanno dare una risposta magari nel segno della riqualificazione degli edifici e nel recupero dei centri.
Camminiamo in aree di cantiere dove prima c'era la storia delle nostre città e adesso solo polvere e cemento......senza case.

Gli effetti della "spending review"

La razionalizzazione delle risorse pubbliche passa anche attraverso la sanità che nel settore rappresnta una quota molto evidente. Si pensi che il bilancio della sanità a livello nazionale supera i 100 miliardi annui e che la sola Lombardia supera i 17 mld.
Per avere un quadro più complessivo è giusto sapere che la spesa corrente annuale dello stato è di 790 miliardi di euro.
Ardua quindi si è presentata la sfida da parte del governo che nelle scorse settimane ha dovuto elaborare un decreto chiamato appunto della "spending review" e che aveva come obbiettivo quello della riduzione di almeno 4,2 miliardi di euro. Miliardi che serviranno per scongiurare l'aumento dll'IVA.
In tema di sanità l'oggetto più discusso della revisione riguarda il numero dei posti letto che dovrebbe passare da 4,2 a 3,7  ogni mille abitanti. Se facciamo il calcolo nella nostra Provincia che di abitanti ne ha circa 180000 ci accorgiamo che la riduzione dovrebbe essere di circa 60 unità. Cosa potrebbe comportare questa riduzione? Sono già state fatte delle proiezioni?
Da sottolineare che il decreto parla di principio generale di riduzione ma che la decisione su come applicarla e dove applicarla spetterà alle regioni che in tema di sanità hanno le competenze.
Comunque sia il governo sembra deciso a ridurre la spesa pubblica e che quindi tutti i settori verranno coinvolti.
C'è ancora la possibilità di mantenere lo stato così come noi siamo abituati a vederlo o dovremo abituarci ad una macchina statale meno pesante? Che effetti potrebbero esserci da queste scelte? E sul nostro territorio quali le conseguenze visto che i sindacati della funzione pubblica parlano di un taglio di 600 posti di lavoro?
Curioso infine, sempre in tema di sanità, un sondaggio ( ISPO) recentissimo dove il 26% dei cittadini italiani preferisce avere tanti ospedali che fanno un po' di tutto purchè vicino casa rispetto al 64%  dei cittadini che preferisce meno ospedali anche più lontani ma che siano delle eccellenze. Visto che nella nostra provincia ci sono quattro presidi ospedalieri sembra che questo tema, oggetto del sondaggio, possa essere molto appropriato.

Referendum abrogativo

E' in atto una raccolta firma per un Referendum abrogativo parziale sulla legge per le indennità parlamentari (Art. 2 L. 31/10/1965, n. 1261).  La raccolta firme terminerà il 30 luglio 2012 (termine per la presentazione al Comitato promotore 31/07/2012).
Per poter firmare bisogna recarsi presso il proprio Comune.
Si tratta di essere al corrente che esiste questa possibilità. La cosa che stupisce è il fatto che sia passata in silenzio. In questo momento di forte antipolitica nessuno si è accorto di questa possibilità.
Noi non esprimiamo un giudizio in merito ma segnaliamo la notizia in quanto degna di nota.
L'istituto del referendum è una delle poche possibilità per un cittadino di poter esprimere la propria opinione con un semplice si o con un semplice no.



Crollano i mutui casa: ecco le ragioni



Secondo la CGIA sono almeno tre le concause che hanno fatto crollare (-47%) i mutui casa accesi dalle famiglie italiane nei primi mesi del 2012. Essi sono :

1) comportamento delle banche;
2) la crisi del settore dell’edilizia;
3) le difficoltà delle famiglie italiane.

Le banche, come sappiamo, hanno ridotto i prestiti  sia perchè hanno sempre meno liquidità, sia perchè sono aumentate le sofferenze della clientela. Si pensi che secondo il Censis il 19,3% delle famiglie italiane con un mutuo ha denunciato di fare molta fatica ad onorare gli impegni assunti ed il 3,3% del campione ha dichiarato che non è più in grado di pagarlo.
La crisi del settore dell’edilizia dura alemeno dal 2007. Secondo l’Agenzia delle Entrate sono almeno 10 milioni le case invendute che hanno fatto abbassare i prezzi anche del 25%. Nonostante ciò, i privati non acquistano.
Le difficoltà delle famiglie sono arcinote. Secondo alcune stime elaborate dalle associazioni dei commercianti nel 2012 i consumi crolleranno del 3%, toccando il livello più basso raggiunto nel lontano 1993. L’87% ha riorganizzato le spese alimentari e il 78% ha ridotto pranzi e cene fuori, il 63% ha diminuito gli spostamenmti con l’auito propria mentre il 40% ha ridotto le spese perha ridotto le spese per l’abbigliamento

Fonte: CGIA di Mestre del 10.07.2012

Le nostre risorse

Tutti all'attacco. L'articolo del decreto sviluppo non piace a nessuno ed a rimarcarlo sono gli imprenditori di tutta la Provincia. Il famigerato articolo 37 che pone in quota dello stato le concessioni idriche.
Il paradosso è che un territorio che fornisce energia a tutto il Paese non possa veder restituito alcun vantaggio in termini di costi. Costi che indubbiamente ricadono sulla produzione e quindi sulla competitività delle imprese Valtellinesi e Valchiavennasche.
Seguiamo con attenzione l'evolversi delle vicende che adesso sono tutte "romane" ed attendono segnali positivi dalle forze governative e parlamentari.
Cosa ne pensate e quali soluzioni si possono adottare?
E' giusto pretendere che le risorse economiche derivanti dalle concessioni idroelettriche siano versate interamente nel territorio?














Alcune riflessioni sulla revisione della spesa pubblica


Editoriale del Corriere della Sera del 7 luglio 2012

I resistenti trasversali

di Angelo Panebianco


E' arrivata l'ora della verità. Adesso che il governo cerca di mettere mano ai tagli alla spesa pubblica, il Paese reale si ribella, mette in campo tutta la potenza di cui è capace. Possiamo così comprendere perché di «rivoluzioni liberali» in Italia si possa solo parlare senza mai farle. Il governo Monti si scontra ora con veti potentissimi. Sono davvero tanti e forti coloro che lavorano perché l'ambiziosa e meritoria operazione di spending review messa in piedi dal governo fallisca il bersaglio. Sarà già molto se i risparmi previsti consentiranno di rinviare l'aumento dell'Iva.
I tagli veri e radicali alla spesa pubblica (cresciuta di quasi duecento miliardi nell'ultimo decennio), quelli di cui ci sarebbe bisogno per abbassare la pressione fiscale e fare ripartire lo sviluppo, restano un obiettivo incerto e lontano.
Perché in Italia è sempre possibile aumentare le tasse mentre non è possibile incidere davvero sul sistema pubblico, imporgli una vera cura dimagrante? Perché, quando si tratta di accrescere la pressione fiscale, lo si può fare senza quasi incontrare resistenze (è facile come affondare un coltello nel burro) mentre se si tratta di contrarre la spesa le resistenze diventano formidabili, si finisce per dare testate contro una spessa lastra d'acciaio? Il motivo è che i contribuenti, pur essendo tanti, sono disorganizzati, non hanno difesa. Invece, coloro che vivono di spesa pubblica sono organizzati e possono attivare difese potentissime. Le ragioni dei disorganizzati non hanno alcuna chance nel conflitto con gli organizzati.
C'è una specie di triangolo di ferro (della morte?) a guardia del sistema fondato su alte tasse e alta spesa: è composto dalla infrastruttura amministrativa (la burocrazia dei ministeri, degli enti parastatali e locali, le magistrature, amministrative e non), dal sindacalismo del pubblico impiego e dalle tante lobby che campano di spesa pubblica. I partiti politici ne sono i complici. In parte ne subiscono il ricatto, in parte sguazzano nello stesso stagno: se la spesa pubblica venisse ridotta e razionalizzata, dovrebbero dire addio a un bel po' di clientele. Pensate a cosa accadrebbe nei mercati elettorali locali se venissero abolite le Province con annessi e connessi o unificati i Comuni al di sotto dei cinquemila abitanti o posto mano a una riforma della sanità all'insegna della efficienza.
Chi però giudica solo i partiti come responsabili non si avvede di quanto sia forte, ramificato e organizzato il blocco di potere a guardia della spesa pubblica. Così forte e ramificato da avere i suoi santi protettori anche dentro il governo Monti (dove infatti c'è conflitto fra l'ala liberale e l'ala statalista).
Va notato che i movimenti di protesta che sorgono periodicamente possono anche inveire contro le tasse ma non propongono di ridurre la spesa (anzi, in genere, vogliono aumentarla). Persino la Lega, che agli esordi aveva impugnato la bandiera della rivolta fiscale, in seguito si mise a difendere tutto ciò che era «pubblico» e spesa pubblica nelle regioni del Nord.
Resta solo il «vincolo esterno» europeo: secondo alcuni, solo l'Unione Europea potrebbe domani avere la forza per indebolire il trasversale partito italiano della spesa pubblica e per imporci una seria riduzione delle tasse. Nonostante i dubbi, è forse l'unica speranza.

Alcune riflessioni sulla revisione della spesa


Editoriale del Corriere della Sera di domenica 8 luglio 2012


I COSTI DELLO STATO SOCIALE
Scomode verità, residue illusioni
Alla fine degli anni Novanta, dopo lo sforzo fatto per entrare nell'unione monetaria, la spesa delle nostre amministrazioni pubbliche (senza contare gli interessi sul debito) era scesa sotto il 40 per cento del reddito nazionale: 39,8%. Negli anni successivi, fra il 2001 e il 2006 (secondo governo Berlusconi), risalì al 44%, due punti sopra il livello degli anni Ottanta, durante i governi di coalizione fra democristiani e socialisti, quando il nostro debito pubblico cominciò a crescere rapidamente. Lo scorso anno aveva superato il 45%.
In passato i tentativi di ridurre la spesa non duravano nel tempo perché attuati con misure una tantum , oppure con tagli «lineari», cioè uguali per tutti, che tagliando nella stessa misura spese inefficienti ed efficienti si rivelavano nel tempo insostenibili. Il merito del governo Monti è di essere entrato nel dettaglio, aver avuto il coraggio di decidere quali spese tagliare, indicandole «con nome e cognome», ad esempio la chiusura di 37 tribunali e 220 sedi distaccate. La proliferazione delle sedi giudiziarie era stata da tempo indicata come una delle ragioni per la lentezza e i costi, soprattutto della giustizia civile, ma finora nessuno aveva avuto il coraggio di opporsi alle lobby che difendono i loro piccoli monopoli locali. Questo è stato possibile anche perché il governo ha informato, ma non ha «concertato», le sue decisioni. La scelta di Mario Monti di affidare queste proposte a Enrico Bondi, un manager lontano dalla politica ed esperto di ristrutturazioni aziendali, si è rivelata vincente. I tagli alla spesa sono un passo che si è fatto attendere un po' a lungo, ma che ora si aggiunge ai risparmi sulle pensioni decisi a Natale.
Vanno però dette alcune verità scomode. Primo: non è pensabile che si possa ridurre in modo significativo la spesa solo riducendo gli sprechi. È ovvio, ad esempio, che il governo deve tagliare i costi della politica in modo drastico, come indicano le misure sulle Province, non solo per un senso di equità e di etica, ma perché altrimenti fra poco vi sarà la rivolta dei cittadini. Ma purtroppo non basta. La dimensione dei tagli necessari affinché si possa poi abbassare la pressione fiscale significherà meno servizi ad alcuni cittadini. Negli anni lo Stato sociale italiano si è disperso in mille direzioni. Fornisce servizi senza distinzione di reddito a classi medie e medio alte, il più delle volte non riuscendo a proteggere i veri deboli. Bisogna riformarlo, rendendolo più snello e più efficiente. Si può fare, e nel lontano 1997 la commissione Onofri (primo governo Prodi) aveva spiegato come. Se solo si fosse incominciato allora!
Secondo: bisogna resistere alla tentazione di usare i risparmi ottenuti riducendo una spesa per finanziarne un'altra, anche se qualcuno pensa che così si aiuterebbe la crescita. Ad esempio tagliare i tribunali per costruire nuove infrastrutture. Innanzitutto non è detto che così si aiuterebbe la crescita: e comunque l'unica strada per uscire dalla stagnazione in cui ci siamo avvitati è abbassare la pressione fiscale, incominciando dalle tasse che gravano sul lavoro. Evitare aumenti dell'Iva è meritorio ma non basta. La dimensione dei tagli deve essere sufficiente per consentire di abbassare la pressione fiscale (e bene ha fatto Mario Monti a dire che questo è solo un primo passo). Terzo: il governo deve prepararsi a una dura battaglia parlamentare. Non deve ripetersi ciò che è accaduto con il decreto legge sulle liberalizzazioni, quando un ottimo testo del governo è stato snaturato dal Parlamento. La cartina di tornasole sarà la tenuta dell'elenco delle Province e dei tribunali cancellati. Le dichiarazioni di politici e sindacalisti in queste ore mostrano che non sarà un compito facile.
Alberto Alesina e Francesco Giavazzi

Le nostre acque

Si riapre la discussione sulle acque dopo l'uscita del decreto Sviluppo che prevede che le concessioni siano in capo allo Stato. Sembrerebbe una sconfitta del territorio dopo le lunghe e pesanti battaglie condotte dalla Provincia e dal Comitato Acque.
Ora si cerca di correre ai ripari presentando una serie di emendamenti al testo dove sostanzialmente si chiede più attenzione alle ricadute economiche della Valle.
Speriamo che possa servire questa strada visto che quella legislativa non è bastata.



Ci piacerebbe che venisse introdotto come criterio per l'aggiudicazione quello che prevede di concedere agli enti locali (compresi ospedali e case di riposo) ed alle attività produttive un sostanzioso sconto sulle bollette energetiche in modo da poter dare respiro al territorio in settori strategici come la sanità e le attività che creano posti di lavoro. Infatti è noto che in Italia il costo dell'energia è del 30% maggiore che nel resto dell'Europa. Il federalismo a volte passa anche attraverso queste misure. Pensiamo sia una buona compensazione per tutta la Valtellina e Valchiavenna  che in tanti anni hanno dato molto a tutto il Paese per quel che riguarda l'energia. Si ricorda che il 17 % a livello nazionale ed il 40% a livello regionale è derivato dalle nostre capacità produttive in campo energetico. 

Revisione della spesa pubblica

 "Le Province saranno dimezzate: dalle attuali 110 si passerebbe a una cinquantina. E subito, non ad agosto con un altro decreto come inizialmente ipotizzato. I criteri attraverso i quali verranno tagliate le province sono: il primo è relativo alla popolazione e il secondo all'estensione. Entro 20 giorni il governo dovrà fissarli con una delibera del Consiglio dei ministri. Calano intanto i trasferimenti per Regioni, Province e Comuni. Tra gli altri interventi anche quello sui Cda della miriade di società pubbliche (potranno avere solo 3 membri)." ANSA 

Il Castel Masegra è nostro!!!

Da mercoledì 6 giugno il Castel Masegra è ufficialmente passato di proprietà dal Demanio al Comune di Sondrio. Si apre una fase nuova per la nostra città. Con l'acquisizione di questo importante Castello le opportunità di sviluppo culturale ed economico della Città aumentano.
I progetti che riguarderanno il Castel Masegra sono in fase di definizione ma è opportuno anche ribadire che non sarà semplice valorizzarlo e contemporaneamente sostenerlo in modo idoneo
Tutta la città è chiamata a contribuire al futuro di questo maniero.






Come vorresti fosse utilizzato?

Cos'è la Costituente Civica di Sondrio?

La Costituente Civica di Sondrio è un contenitore di idee e progetti dove i cittadini possono trovare un momento di confronto e di proposizione.
Ad essa possono aderire cittadini, associazioni, liste civiche e sodalizi che si riconoscano nella Carta dei Valori della Costituente Civica di Sondrio che stabilisce i principi del nostro agire.
La Costituente Civica di Sondrio è per principio inclusiva, partecipativa e democratica ed attraverso un percorso condiviso elabora un progetto di governo per la città.
Essa vuole rappresentare una sintesi della passione civica dei sostenitori ed un veicolo di diffusione di un nuovo metodo di far politica.
Non è una associazione, non è un movimento, non è un partito.
Chi aderisce alla Costituente aderisce ad un metodo e collabora alla costruzione di un progetto.

Perchè un blog

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Per costruire insieme a voi l'idea di città che vogliamo.
Perché abbiamo la consapevolezza che per cambiare dobbiamo essere in tanti
Perché il metodo della partecipazione possa finalmente essere una realtà
Perché preferiamo la strada più difficile della proposizione piuttosto che la pratica della critica e della distruzione