Da Chicago Blog
Lucia Quaglino
In Italia il grado liberalizzazione dell’economia, misurato attraverso il grado di apertura di sedici settori rispetto ai paesi più liberalizzati d’Europa, è ancora inferiore alla sufficienza sebbene in miglioramento di tre punti rispetto allo scorso anno: vale infatti il 52%. Questo è quanto emerge dall’Indice delle Liberalizzazioni che sarà presentato oggi.
L’Indice delle Liberalizzazioni, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni dal 2007, intende misurare quanto i sedici settori sono aperti alla concorrenza rispetto a un Paese benchmark (di solito la Gran Bretagna) sulla base di valutazioni di indicatori qualitativi e quantitativi.
Nel 2012 il punteggio dell’Indice sale al 52%, grazie al miglioramento di dieci settori. Dei restanti sei, una metà resta stabile (treni, mercato del lavoro e servizi idrici) e l’altra registra un arretramento (servizi finanziari, televisione e fisco). Si segnala il miglioramento del settore autostradale dal 28% al 40% grazie alla nascita dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali che ha consentito di ridurre i conflitti di interesse nel settore, e quello degli ordini professionali (dal 47% al 52%), per merito in particolare della rimozione dei vincoli residui all’esercizio della professione in forma societaria. Il settore più liberalizzato resta quello elettrico (77%), mentre il punteggio peggiore è quello dei servizi idrici (19%).
Si iniziano quindi a vedere gli effetti delle manovre del governo Monti e presumibilmente, salvo imprevisti, continueranno a manifestarsi nei prossimi anni. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla sufficienza: questo significa che continuano a non essere liberate e valorizzate le risorse per la crescita economica. Su tale risultato influisce spesso una legislazione incerta, i forti conflitti di interesse (si pensi al caso Arenaways, portata al fallimento dalla condotta anti-concorrenziale di Trenitalia), la mancanza di regolatori indipendenti (tra cui l’attesa Autorità dei trasporti, istituita a gennaio ma ancora inesistente) e, in generale, una forte e non sempre giustificata presenza pubblica che tutela i monopoli e non rimuove gli ostacoli alla concorrenza.
L’Indice delle Liberalizzazioni, pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni dal 2007, intende misurare quanto i sedici settori sono aperti alla concorrenza rispetto a un Paese benchmark (di solito la Gran Bretagna) sulla base di valutazioni di indicatori qualitativi e quantitativi.
Nel 2012 il punteggio dell’Indice sale al 52%, grazie al miglioramento di dieci settori. Dei restanti sei, una metà resta stabile (treni, mercato del lavoro e servizi idrici) e l’altra registra un arretramento (servizi finanziari, televisione e fisco). Si segnala il miglioramento del settore autostradale dal 28% al 40% grazie alla nascita dell’Agenzia per le infrastrutture stradali e autostradali che ha consentito di ridurre i conflitti di interesse nel settore, e quello degli ordini professionali (dal 47% al 52%), per merito in particolare della rimozione dei vincoli residui all’esercizio della professione in forma societaria. Il settore più liberalizzato resta quello elettrico (77%), mentre il punteggio peggiore è quello dei servizi idrici (19%).
Si iniziano quindi a vedere gli effetti delle manovre del governo Monti e presumibilmente, salvo imprevisti, continueranno a manifestarsi nei prossimi anni. Tuttavia, siamo ancora lontani dalla sufficienza: questo significa che continuano a non essere liberate e valorizzate le risorse per la crescita economica. Su tale risultato influisce spesso una legislazione incerta, i forti conflitti di interesse (si pensi al caso Arenaways, portata al fallimento dalla condotta anti-concorrenziale di Trenitalia), la mancanza di regolatori indipendenti (tra cui l’attesa Autorità dei trasporti, istituita a gennaio ma ancora inesistente) e, in generale, una forte e non sempre giustificata presenza pubblica che tutela i monopoli e non rimuove gli ostacoli alla concorrenza.
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